Canna fumaria in condominio e sbocco sul tetto comune

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Canna fumaria in condominio e sbocco sul tetto comune

Non di rado nell’ambito condominiale sorgono problemi sui fumi prodotti dalle singole unità abitative, come ad esempio quelli generati da stufe a pellet e simili. Questi fumi, quando sono convogliati all’esterno, vanno sicuramente incanalati in canne fumarie. Il problema che ci si pone è dove queste canne fumarie debbano avere sbocco.


 A tale proposito la legge [1] specifica che tutti gli impianti termici che siano installati nelle unità abitative vanno collegati a camini o canne fumarie che consentano di fare evacuare i residui della combustione con uno sbocco posto al di sopra del tetto dell’edificio secondo quello che prescrive, nel dettaglio, la normativa dei regolamenti comunali.


 La stessa legge, però, [2] esclude che stufe, caminetti, radiatori individuali o scaldacqua unifamiliari siano da considerare impianti termici soggetti all’obbligo del collegamento con camini o canne con sbocco fin sul tetto.

 Da ciò emergerebbe, quindi, che la stufa a pellet singola non rientra nell’obbligo dello scarico a tetto. Tali impianti, dunque, non devono essere collegato a camini, canne o sistemi di evacuazione.

 Ma esiste un’eccezione. La legge [3], infatti, impone lo scarico dei fumi fin sul tetto anche per i caminetti e le stufe o i radiatori individuali, se fissi, che abbiano una potenza nominale maggiore o eguale a 5 kilowattora. In tal caso, dunque, è necessario che i fumi di scarico delle stufe o dei caminetti o degli scaldacqua unifamiliari siano convogliati all’esterno da sistemi che ne consentano l’evacuazione al livello del tetto condominiale.


 In ogni caso, anche per quei sistemi di potenza nominale inferiore ai 5 kilowattora che non debbono obbligatoriamente scaricare i fumi al livello del tetto, esiste sempre l’obbligo di non violare la generale norma [4] per cui le immissioni anche di fumi che derivino dal fondo vicino (compreso, quindi, l’appartamento condominiale) devono essere sopportate solo se non superino la normale tollerabilità (accertamento che fa, volta per volta, il giudice eventualmente investito della controversia).

[1] Art. 5, comma 9, D.p.r. n. 41 del 26/08/1993.


[2] Art. 1, lettera f), D.p.r. n. 41 del 26/08/1993.


[3] Legge n. 90 del 2013.


[4] Art. 844 del Cod. civ.

 

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